domenica 6 marzo 2011

“Non possiamo vivere che una sola vita, per questo dobbiamo scegliere”. (Bergson)

Da sempre l’uomo ha tentato di dare un ordine alla propria vita tramite le scelte. E in effetti è così. Ogni istante è tale proprio perché caratterizzato da una scelta. Essa si pone come necessità nei confronti della vita e dunque è condizione della vita stessa. Una vita priva di scelte non può esistere. Le possibilità che entrano a costituire la stessa esistenza umana, e quindi le alternative cui ci troviamo di fronte, sono infinite e questo può avere su di noi un effetto paralizzante. Lo stesso Kierkegaard di fronte a ogni alternativa si è sentito paralizzato ed ha conservato la sua esistenza al punto zero, ovvero nell’indecisione perenne. Tutti noi, come Kierkegaard, più di una volta ci siamo trovati di fronte alla difficoltà di scegliere. Le cause di questa difficoltà sono diverse.  La realtà in cui viviamo, infatti, presenta mille sfaccettature diverse, e la contraddizione è uno dei suoi caratteri peculiari. Ma noi uomini, tra queste mille possibilità che la vita ci offre, possiamo davvero scegliere? Il più delle volte le scelte che si compiono non derivano direttamente dalla spontaneità e dalla soggettività di ognuno ma sono scelte condizionate da ciò che pensano gli altri, in particolare da “ciò che pensa la società”, proprio perché appare connaturata nell’uomo la tendenza ad imprigionare la realtà che, secondo Pirandello, non è un cosmo ordinato, ma un fluire continuo,  in forme stabili. Questa realtà in cui ci troviamo catapultati continua però a scorrere, al di là delle costruzioni fittizie che gli sovrapponiamo.

“…Perché una realtà non ci fu data e non c’è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile”
Pirandello, Il turno

Quest’affascinante concezione della realtà che sta alla base dell’arte pirandelliana è condivisa dall’ultimo grande filosofo dell’età moderna: Nietzesche. Egli distingue tra apollineo e dionisiaco, indicandoli come due impulsi di base dello spirito umano. L’apollineo che scaturisce da un atteggiamento di fuga di fronte al divenire consiste nel tentativo di sublimare il caos nella forma; il dionisiaco che scaturisce dalla partecipazione al divenire stesso consiste nell’entusiastica accettazione della vita così com’è, nella globalità dei suoi aspetti. Per Nietzesche dunque la vita è dolore, lotta, distruzione, crudeltà, incertezza, errore e la vita pone ancora una volta l’uomo di fronte a due opposte alternative tra le quali egli è costretto a scegliere, l’apollineo e il dionisiaco appunto.
Le scelte che noi compiamo sono però sempre conformi alla realtà che stiamo vivendo tant’è che il filosofo positivista Hyppolyte Taine, di origine inglese, afferma che l’uomo è il prodotto di tre fattori, “la race” (la razza), “le milieu” (l’ambiente), e “le moment” (la pressione del passato sul presente), sottolineando così l’influenza dell’ambiente sul carattere e sui comportamenti umani.
L’uomo è quindi un essere alienato. L’alienazione infatti è la sensazione di estraneità dell’individuo rispetto alla realtà che vive.

“…Squallidi processi quotidiani con giudizi sommari in cui sei condannato a un’esistenza formale d’ andamento normale…”
Negrita, Alienato

Questa è la “trappola” di cui parla Pirandello, una “trappola” sociale che diviene metafora di una “trappola” metafisica la quale mortifica la mobilità della vita. Essa costituisce quindi un vero e proprio limite a quello che dovrebbe essere “l’abbandono gioioso al fluire mutevole della vita”.

Questa situazione di alienazione spesso però provoca la reazione dell’uomo: una ribellione alla forma, un’improvvisa follìa. Con questo attimo di follìa l’uomo prende coscienza della vera natura della realtà, si ribella, rifiuta le norme sociali per poi tornare però nei limiti del meccanismo. Ma questa volta però potrà sopportare la meccanicità della “forma”. Un attimo di evasione, di tanto in tanto, consentirà quindi all’uomo di sostenere il peso delle “forme” sociali che lo imprigionano, avrà una funzione consolatoria e diventerà consapevole della “trappola” in cui vive: poi potrà tornare direttamente all’ordine.
Dunque in conclusione come Nietzesche ci propone la scelta tra apollineo e dionisiaco, parallelamente Pirandello ci propone quella tra la “trappola” e il “fluire della vita” affermando che l’uomo, pur andando incontro ad attimi di follìa che gli permettono di divenire cosciente della vita e dell’assenza di un ordine della realtà,  alla fine ritornerà sempre all’ordine poiché esso, in quanto determinato da scelte necessarie, è a sua volta condizione necessaria dell’essere stesso dell’uomo. Egli ritornerà sempre e comunque ad esso senza del quale proverebbe una sensazione di angoscia e di dispersione.


“Fuori da quelle particolarità, lieti o tristi che siano, per cui noi siamo noi, non è possibile vivere”
Pirandello, Il fu Mattia Pascal



L’importante è quindi scegliere senza lasciarsi abbagliare da possibilità illusorie, dai miti della nostra società caratterizzata dall’effimero, dallo spettacolo, dall’esibizione e dalla superficie delle cose.




“…la forma che mi son fatta, creda, non corrisponde per nulla alla mia vera natura: sembro a tutti un prepotente, perché non ammetto prepotenze né dai miei simili, né dai pregiudizi del paese, né dalle abitudini che ciascun uomo tende a contrarre; […] sembro, per conseguenza, anche strano, solo perché voglio esser libero, in mezzo a tanta gente che è schiava o di se stessa o degli altri”
Pirandello, Il turno



                                                               

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