domenica 20 marzo 2011

Verdena - Luna.

Dipingimi distorto come un angelo anormale che cade
Offendimi, se odiare è un crimine il prezzo è uguale e fa male
E vedo te, io e te, niente conta in fondo
Illumina annulla le paure oh luna nulla è uguale
Sarò così onesto come se tu fossi il mare, il mare
E vedo te, io e te, niente conta e crolla, crolla
E vedo te, io e te, niente conta in fondo.


giovedì 17 marzo 2011

Il Nichilismo.

Il nichilismo è una concezione delle cose, in base alla quale la realtà sarebbe inesorabilmente destinata a declinare nel nulla, ovvero, dal punto di vista etico, sarebbe indeterminabile o assente una finalità ultima che orienti il corso delle cose e la vita dell’uomo. Dato che l’uomo è limitato e sperimenta ogni giorno questo limite nella morte e nelle sue dolorose anticipazioni, allora egli può essere spinto a considerare che il niente sia il vero senso dell’essere. L’affermazione nichilista nega pertanto, in questo senso, vera consistenza alla realtà e di conseguenza esclude che l’uomo possa fare esperienza della verità in quanto tale, considerata come oggettiva e universale.

mercoledì 16 marzo 2011

...Bertrand Russell...

"Il problema dell'umanità è che i folli e i fanatici sono estremamente sicuri di se stessi, mentre le persone più sagge sono piene di dubbi".

Bertrand Russell è considerato uno dei fondatori della filosofia analitica a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento.

lunedì 14 marzo 2011

Ciascuno di noi si crede "uno" ma in realtà è "tanti" poichè in noi ci sono tante possibilità d'essere; noi siamo "uno" con questo, "uno" con quello e ogni volta sempre in maniera diversa. (Pirandello)

Questo è il dramma che affligge Pirandello e che dovrebbe suscitare interesse in tutti gli uomini. La domanda che ogni uomo dovrebbe sempre porsi è "ma io chi sono veramente?", poichè credo che una delle ignoranze peggiori sia l'ignoranza del proprio essere. Conoscere se stessi, infatti, è molto importante, ma ciò che rende complicata quest'impresa è la stessa personalità dell'uomo la quale si caratterizza per la sua complessità e varietà. Il più delle volte siamo portati a pensare che la cosa più difficile sia conoscere gli altri, che non si finisca mai di conoscere chi ci sta intorno e forse nemmeno ci accorgiamo di quant'è complicato sapere chi siamo, sapere come rapportarci agli altri. E così, come afferma Pirandello, viviamo con l'illusione di essere sempre "uno per tutti", di essere sempre uguali in qualsiasi situazione, in tutto ciò che facciamo. Ma più il tempo passa e più mi accorgo che non è così, che accade esattamente l'opposto. Solitamente quando siamo soli siamo "noi stessi", abbiamo delle idee, abbiamo i nostri princìpi, ma poi agli occhi degli altri ci creiamo un'altra immagine per paura di non essere accettati, di risultare banali, di sentirci inferiori, senza neanche accorgercene.
Così spesso se compiamo una scelta in presenza di altra gente che suscita in noi soggezione o imbarazzo, facciamo la scelta sbagliata e quando "ritorniamo in noi stessi", quando siamo soli, in quei momenti in cui la cosa più bella è pensare a tutto e a niente, ci rendiamo conto che avremmo voluto tutt'altro. Dunque Pirandello ha ragione. L'uomo possiede così tante sfaccettature che nemmeno egli stesso riesce a comprendere il suo essere fino in fondo. Il problema è che tutti gli uomini dovrebbero essere consapevoli della varietà del proprio essere. Molte volte riusciamo a cogliere le diverse sfaccettature che ci caratterizzano, ma è come se trovassimo più facile e più comodo avere tante maschere a seconda degli ambienti e delle situazioni in cui ci troviamo, piuttosto che mantenere inalterato il nostro IO. Spesso quindi rinunciamo a ciò che vogliamo e a ciò in cui crediamo davvero soltanto perchè un cambiamento potrebbe stravolgere il precario equilibrio della nostra vita, o soltanto per la paura di perdere qualcuno, di ferire qualcuno, di essere giudicati da qualcuno.  Ma perchè continuare a mentire a se stessi? O meglio, perchè cercare di mentire a se stessi? Tutti noi infatti sappiamo benissimo che prima o poi, nei momenti di solitudine, la verità viene fuori, il nostro IO prende il sopravvento e questo ci fa stare male, ci riempie di dubbi. E tutto ciò perchè fortunatamente nessuno può conoscere e controllare i pensieri e i sogni degli altri, spesso neanche noi stessi ci riusciamo: i pensieri ci sfuggono, pensiamo ciò che non vorremmo mai pensare. Questa è dunque la più grande e la più bella libertà che l'uomo avesse mai potuto ottenere. Una libertà che molte volte cerchiamo, una libertà di cui abbiamo bisogno e grazie alla quale riusciamo a sfuggire ai giudizi degli altri, ma che alle volte ci terrorizza. Per affermare noi stessi però, il nostro io, quello vero, è necessario andare oltre questa paura, poichè essa non fa altro che renderci deboli e insicuri. Non dobbiamo mai rifugiarci nella menzogna poichè significherebbe solo esistere, non vivere. E noi dobbiamo vivere.
Dunque se Pirandello crede giustamente che ciascuno di noi non sia "uno", ma "centomila", la più grande vittoria dell'uomo sarebbe riuscire a contraddire tutto ciò e ad essere se stesso sempre, a portare avanti ciò in cui crede, a stare lontano dalle ipocrisie, pur nelle sue infinite sfaccettature. Ma a questo punto l'uomo tenderebbe quasi alla perfezione, e a dir la verità, l'uomo perfetto non sarebbe più l'uomo vero in quanto credo che egli sia nato tale in quanto pura imperfezione.

Chi è Henry Bahus? E' una storia un pò lunga ma vale la pena di leggerla! XD

Chi è Henry Bahus? Era il protagonista di una storiella che girava su internet qualche anno fa... ma il vero nome è "Herny", cambiato poi dai Verdena in "Henry"...
Questa è la storia di herny bahus che può essere chiunque.

Ciò che gli dava più pena era se stesso. La sua statuaria vanità, la sua gelida
staticità, il suo non piegarsi, il suo non cambiare, la sua splendida falsità,
lo divorava, lo appesantiva. Me ne accorgevo specialmente la mattina. La mattina
si notava di più quella maschera, perché mentre la mattina non si è ancora
compromessi, mentre sono tutti più storditi e indifesi, herny bahus era già
divorato da se stesso, angelicamente sbronzo, ed era notevolmente più furbo ed
attento degli altri, e quella maschera con la quale gli altri si apprestavano a
coprirsi, presi dalla loro calda solitudine, herny bahus non se la era mai
tolta, ed era un fulmine, ed era già un vecchio, perché dell’ingenuità giovanile
aveva ucciso la semplicità. E credo che la sua diabolica senilità lo lacerasse
nel profondo, nel profondo, l’herny bahus che non era mai esistito piangeva
gocce di limone.
Ed era in effetti uno dei ragazzi con più esperienza che abbia mai conosciuto, e
capisco perché, in definitiva si sentisse così stanco. Herny bahus era morto
quell’inverno, per non più rinascere, forse si era deciso di concludere quella
sua adolescenza di cemento così, senza ascoltarsi, lasciandosi sopraffare da ciò
che avrebbe potuto mostrare di bello, da ciò che gli conveniva mostrare per non
avere dolore dal profondo, da ciò che tendenzialmente era sempre apparso, ma che
splendidamente sapeva non essere. Forse il suo cervello, il suo fegato ed il suo
cuore erano convinti che si sarebbe potuto sopravvivere pacificamente in questo
modo; fino a quando? Fino alla fine della scuola forse, fino all’inizio di un
lavoro da accettare e apprezzare con riverenza, fino a quando l’herny bahus che
sarebbe dovuto nascere prima o poi avesse rinunciato a manifestarsi, e tutto
sarebbe stato più uniforme. Perché in definitiva tutti prima o poi moriamo, per
poi non alzarci più. E mi piace dire che herny bahus quell’inverno aveva chiuso
troppo presto i suoi 16 anni, e gli rimanevano ancora troppi mesi per rialzarsi,
ed almeno a quanto ci lasciasse intendere trovava più comodo non rialzarsi e
farsi trasportare, e vivere come una pianta al vento, come in un film di una
pianta al vento, perché anestetizzato. Non che fosse impossibile a lui cambiare,
ma in quei primi mesi del 2001 credevo che nulla e poi nulla fosse in grado di
colpirlo, di ferirlo, di scaldarlo; e ripensando l’herny bahus che mi piace
immaginare non era mai esistito, ed in tutta la sua vita è esistito per poche
settimane, perché posso bene insistere, l’herny bahus di quell’inverno era solo
l’evoluzione estremista di un sedicenne perso, e allora come ora herny bahus
era lontanissimo da se stesso.
Ma càzzo almeno nel ghiaccio di dicembre herny correva, era un gigante, era
operoso, perché mai come in quei mesi di pioggia il mondo aveva avuto tante
visite da herny bahus. Ed il mondo correva, ed herny non più, ed era una vita
che h. b. si era ormai scoperto caldo nel suo fiato adolescenziale. Insomma
herny bahus non usciva più di casa, e pomeriggi che si piegavano in parti
uguali su se stessi volavano come coriandoli, e settimane rincorrevano
settimane, ed herny si inseriva a fatica tra una domenica ed un lunedì, e
l’inverno era volato come un brivido, e con esso si era chiuso un herny bahus, e
se ne era presentato un altro di sola presenza, e questo sembrava bastargli
quasi a sufficienza, per chiudere, terribilmente stanco di quel riposo, si
avvicinava a marzo. punto.

L'infinita Gioia Di Henry Bahus.

Io non ti avrò mai
ma sento che c'è
mi sfiori
mi sento lontano come non mai
nei miei neri e blu non mi sembra di trovarti mai
ora sento che io dovrei lei vomitare
Qualcosa non va qualcosa in me
e sudi mi vedo all'inverso come non mai
nei miei neri e blu non mi sembra di trovarti mai
ora bevo in lei e mi sento più speciale
E dentro me
e dentro me aahh
io come lei
E dentro me
e dentro me aahh
io come lei
Qualcosa non va qualcosa in me
e sudi
Io non ti avrò mai
ma sento che c'è
mi sfiori
mi sento lontano come non mai
nei miei neri e blu non mi sembra di trovarti mai
ora sento che io dovrei lei vomitare
E dentro me
e dentro me aaahhh
io come lei
E dentro me
e dentro me aaahhh
io come lei                      (Verdena)

"Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gli sciocchi sono sicuri di ciò che dicono". (Voltaire)

Questo pensiero di Voltaire tocca un aspetto importante della vita dell'uomo, nonchè il fondamento della vita stessa. Se si riflette un pò, infatti, ci si rende conto che la vita è un unico, grande e complicato dubbio che l'uomo non riuscirà mai a risolvere. Con ciò però non indendo porre dei limiti alle capacità conoscitive dell'uomo poichè è evidente come queste ultime sono già giunte a livelli notevoli e continueranno il loro percorso puntando sempre al meglio. Il problema sorge quando ci chiediamo se ciò di cui siamo venuti a conoscenza possa avere la nostra fiducia, se sia davvero così, o siamo caduti in errore involontariamente, o ancora se non facciamo altro che ostinarci a voler conoscere qualcosa che non ci è dato di conoscere nella sua interezza, qualcosa che va troppo al di là della nostra stessa natura di uomini, a prescindere dalle nostre capacità conoscitive. Dunque il dubbio esiste. Deve esistere. Poichè è il dubbio stesso a darci la certezza della nostra esistenza. Questo è il COGITO ERGO SUM, nucleo centrale della filosofia di Cartesio. Egli afferma che per giungere ad una conoscenza più o meno certa bisogna considerare falso, almeno momentaneamente, tutto ciò su cui è possibile porre il dubbio. E' dunque necessaria una radicale critica di tutto il sapere. Il filosofo infatti ritiene che si debba dubitare di qualsiasi conoscenza sensibile. Se i sensi ingannano qualche volta, infatti, possono farlo sempre. E' proprio nel dubbio che abbiamo la consapevolezza del pensiero, e quindi della nostra esistenza, poichè "io penso, ragiono, dubito quindi esisto". Ma esisto soltanto come essere pensante in quanto non si può essere certi nè dell'esistenza del corpo nè dell'esistenza di ciò che pensiamo: possiamo essere certi solo del nostro pensiero in quanto tale. Dunque Cartesio pone il dubbio su tutto, per lui non esistono certezze. E sono proprio queste ultime che il più delle volte mancano nella vita di ognuno. E credo che il filosofo abbia individuato proprio il nocciolo della nostra esistenza. La maggior parte degli uomini non crede che esistano certezze. E' triste, spiacevole dubitare sempre, è come essere sempre in bilico, e spesso dubitando si sbaglia. Non avere certezze, infatti, significa anche non avere fiducia in se stessi. Quelli che Voltaire definisce "sciocchi" sono proprio coloro che riescono ad avere la vita più facile, o quantomeno basata su qualche sicurezza in più poichè avere delle certezze fa apparire più determinati; non avere alcuna certezza invece significa mostrare a tutti le proprie debolezze, le proprie insicurezze. Eppure la filosofia ci porta a pensare che sia quasi impossibile il solo pensiero di avere delle certezze. Come ad esempio la filosofia di Hume, considerata dagli storici come una forma radicale di scetticismo settecentesco, secondo la quale il corso della natura cambia e l'esperienza ci può illuminare sul passato, ma non sul futuro: non è detto, infatti, che qualcosa che appartiene al passato si verificherà esattamente identica in futuro. Non c'è necessità oggettiva in ciò che conosciamo. Allo stesso modo non è detto che ciò che pensiamo di avere lo possediamo davvero e continueremo ad averlo anche nel futuro più immediato.
Inoltre non bisogna dimenticare che l'uomo può facilmente cadere in errore. Questo perchè, come ricorda Cartesio, l'intelletto umano ha i suoi limiti mentre la volontà dell'uomo è estesa e illimitata. Molto spesso infatti l'uomo, con la volontà, va oltre l'intelletto, oltre ciò che appare chiaro ed evidente. Ed è proprio il pronunciarsi su ciò che non è chiaro, su ciò di cui non si ha una conoscenza certa, che porta a cadere nell'errore. Questo può accadere sempre, ecco perchè il dubbio è necessario, anche quando fa soffrire, anche quando la certezza appare molto più dolce.
Ma avere delle certezze ha anche degli aspetti negativi. Il più delle volte l'essere troppo sicuri di ciò che poi non si rivela tale, porta a soffrire molto di più di quanto si soffrirebbe dubitando. Essere certi di qualcosa la cui stessa certezza magari si è raggiunta con fatica, e vederla poi smentita, spesso fa precipitare in baratro da cui poi è difficile risollevarsi.
Dunque non si può e non si deve mai essere assolutamente certi di qualcosa. Forse a volte illudersi di avere qualche certezza può aiutare a vivere meglio, ma bisogna sempre ritenere queste certezze illusorie solo come probabili.

domenica 6 marzo 2011

“Non possiamo vivere che una sola vita, per questo dobbiamo scegliere”. (Bergson)

Da sempre l’uomo ha tentato di dare un ordine alla propria vita tramite le scelte. E in effetti è così. Ogni istante è tale proprio perché caratterizzato da una scelta. Essa si pone come necessità nei confronti della vita e dunque è condizione della vita stessa. Una vita priva di scelte non può esistere. Le possibilità che entrano a costituire la stessa esistenza umana, e quindi le alternative cui ci troviamo di fronte, sono infinite e questo può avere su di noi un effetto paralizzante. Lo stesso Kierkegaard di fronte a ogni alternativa si è sentito paralizzato ed ha conservato la sua esistenza al punto zero, ovvero nell’indecisione perenne. Tutti noi, come Kierkegaard, più di una volta ci siamo trovati di fronte alla difficoltà di scegliere. Le cause di questa difficoltà sono diverse.  La realtà in cui viviamo, infatti, presenta mille sfaccettature diverse, e la contraddizione è uno dei suoi caratteri peculiari. Ma noi uomini, tra queste mille possibilità che la vita ci offre, possiamo davvero scegliere? Il più delle volte le scelte che si compiono non derivano direttamente dalla spontaneità e dalla soggettività di ognuno ma sono scelte condizionate da ciò che pensano gli altri, in particolare da “ciò che pensa la società”, proprio perché appare connaturata nell’uomo la tendenza ad imprigionare la realtà che, secondo Pirandello, non è un cosmo ordinato, ma un fluire continuo,  in forme stabili. Questa realtà in cui ci troviamo catapultati continua però a scorrere, al di là delle costruzioni fittizie che gli sovrapponiamo.

“…Perché una realtà non ci fu data e non c’è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile”
Pirandello, Il turno

Quest’affascinante concezione della realtà che sta alla base dell’arte pirandelliana è condivisa dall’ultimo grande filosofo dell’età moderna: Nietzesche. Egli distingue tra apollineo e dionisiaco, indicandoli come due impulsi di base dello spirito umano. L’apollineo che scaturisce da un atteggiamento di fuga di fronte al divenire consiste nel tentativo di sublimare il caos nella forma; il dionisiaco che scaturisce dalla partecipazione al divenire stesso consiste nell’entusiastica accettazione della vita così com’è, nella globalità dei suoi aspetti. Per Nietzesche dunque la vita è dolore, lotta, distruzione, crudeltà, incertezza, errore e la vita pone ancora una volta l’uomo di fronte a due opposte alternative tra le quali egli è costretto a scegliere, l’apollineo e il dionisiaco appunto.
Le scelte che noi compiamo sono però sempre conformi alla realtà che stiamo vivendo tant’è che il filosofo positivista Hyppolyte Taine, di origine inglese, afferma che l’uomo è il prodotto di tre fattori, “la race” (la razza), “le milieu” (l’ambiente), e “le moment” (la pressione del passato sul presente), sottolineando così l’influenza dell’ambiente sul carattere e sui comportamenti umani.
L’uomo è quindi un essere alienato. L’alienazione infatti è la sensazione di estraneità dell’individuo rispetto alla realtà che vive.

“…Squallidi processi quotidiani con giudizi sommari in cui sei condannato a un’esistenza formale d’ andamento normale…”
Negrita, Alienato

Questa è la “trappola” di cui parla Pirandello, una “trappola” sociale che diviene metafora di una “trappola” metafisica la quale mortifica la mobilità della vita. Essa costituisce quindi un vero e proprio limite a quello che dovrebbe essere “l’abbandono gioioso al fluire mutevole della vita”.

Questa situazione di alienazione spesso però provoca la reazione dell’uomo: una ribellione alla forma, un’improvvisa follìa. Con questo attimo di follìa l’uomo prende coscienza della vera natura della realtà, si ribella, rifiuta le norme sociali per poi tornare però nei limiti del meccanismo. Ma questa volta però potrà sopportare la meccanicità della “forma”. Un attimo di evasione, di tanto in tanto, consentirà quindi all’uomo di sostenere il peso delle “forme” sociali che lo imprigionano, avrà una funzione consolatoria e diventerà consapevole della “trappola” in cui vive: poi potrà tornare direttamente all’ordine.
Dunque in conclusione come Nietzesche ci propone la scelta tra apollineo e dionisiaco, parallelamente Pirandello ci propone quella tra la “trappola” e il “fluire della vita” affermando che l’uomo, pur andando incontro ad attimi di follìa che gli permettono di divenire cosciente della vita e dell’assenza di un ordine della realtà,  alla fine ritornerà sempre all’ordine poiché esso, in quanto determinato da scelte necessarie, è a sua volta condizione necessaria dell’essere stesso dell’uomo. Egli ritornerà sempre e comunque ad esso senza del quale proverebbe una sensazione di angoscia e di dispersione.


“Fuori da quelle particolarità, lieti o tristi che siano, per cui noi siamo noi, non è possibile vivere”
Pirandello, Il fu Mattia Pascal



L’importante è quindi scegliere senza lasciarsi abbagliare da possibilità illusorie, dai miti della nostra società caratterizzata dall’effimero, dallo spettacolo, dall’esibizione e dalla superficie delle cose.




“…la forma che mi son fatta, creda, non corrisponde per nulla alla mia vera natura: sembro a tutti un prepotente, perché non ammetto prepotenze né dai miei simili, né dai pregiudizi del paese, né dalle abitudini che ciascun uomo tende a contrarre; […] sembro, per conseguenza, anche strano, solo perché voglio esser libero, in mezzo a tanta gente che è schiava o di se stessa o degli altri”
Pirandello, Il turno